Storia - Visita guidata
La Chiesa di San Siro di Nervi
La plebania di Nervi era delimitata dal torrente Sturla, dallo spartiacque fra i torrenti Bogliasco e Sori, dalle pievi di Bargagli e di Bavari[1]. E’ vero, altresì, che il Syndicatus del 1311, ovvero la tessera delle plebanie, indica i nomi di sole quattro chiese suffraganee comprese nella giurisdizione di S. Siro: S.Giovanni di Quarto, S.Maria di Quarto (ora della Castagna), S. Pietro di Quinto, Sant’Ilario[2]. S.Siro di Viganego e S.Maria di Bogliasco, incluse nella plebania solo in un secondo tempo, erano allora probabilmente "chiesuole senza cura d’anime", come le definisce Remondini, ricordando che risultano soggette a tassazione solo a partire dal 1387. A queste chiese furono successivamente aggregate S.Maria di Apparizione[3] e S.Maria di Sessarego[4]. Nella seconda metà del ‘700, la chiesa matrice perse gran parte di quelle rettorie, in quanto esse furono aggregate a pievi più vicine oppure divennero, a loro volta, parrocchie; sicché, nell’800, il Vicariato di Nervi contava ormai tre sole suffraganee, ossia Bogliasco, Quinto e Sant’Ilario, fra le quali la prima era già indipendente, poiché aveva ottenuto il titolo di prevostura, poi attribuito anche alle altre. Tuttavia, nella seconda metà dello stesso secolo, Nervi era ancora considerata Vicariato, con le tre prevosture precedentemente citate.
Il più antico documento reperito che attesti l’esistenza della pieve di Nervi[5] non solo come istituzione giuridica ma anche come edificio di culto, ovvero come ecclesia, risale al 1143 e consiste nell’elenco delle condiciones che l’arcivescovo esigeva come affitto per diversi terreni, siti nella curtis[6] di Nervi e nelle vicinanze, concessi in locazione tramite contratto a livello; tali condiciones consistevano in canoni in denaro o in natura, ovvero in prodotti della terra, spalle di porco, galline, pasti per gli operai e i rappresentanti della Curia, nonché prestazioni d’opera di vario genere .
E’ ancora nell’ambito di un contratto di locazione, rogato nel secolo XI, che si incontra per la prima volta, per quanto è stato possibile reperire, il toponimo Nervi; tale contratto allivellava a favore del prete Bellandus e del fratello Bruningo un certo numero di terreni, siti in località urbane ed extraurbane e tutti appartenenti alla Mensa arcivescovile, rappresentata allora dal vescovo Oberto[7], fra cui un pasteno in Nervi "cum casis et vineis ...et ficas et olivas et alios arbores fructiferos"[8]. I beneficiari si impegnavano a non vendere o alienare tali beni se non ai "famuli Sancti Syri ", ovvero ad altri coloni di condizione servile dipendenti dalla curia locale[9] che, a sua volta, dipendeva dalla Chiesa genovese. La produzione documentaria permette di fissare l’anno 1143 come punto cardine e attendibile terminus post quem relativo all’esistenza della pieve di Nervi, intesa come istituzione demo - territoriale e come edificio sacro. Se è legittimo attribuire una considerevole antichità alla plebania, non è invece altrettanto possibile accertare, allo stato attuale delle ricerche, se a metà del secolo XI, a cui rimanda il primo documento reperito che attesti il toponimo Nervi, esistesse l’edificio che divenne chiesa plebana, né, se questo esisteva, quale fosse allora la sua dedicazione. L’appellativo famuli Sancti Syri, che appare in quell’antico documento[10], si limita a segnalare la stretta dipendenza della curia locale nei confronti della chiesa genovese: le terre concesse a livello erano infatti definite "de libellaria Sancti Syri "[11]. Con S. Siro di Genova e con S.Siro di Molassana, dove era l’ insula e la curtis dell’arcivescovo, la pieve di Nervi avrà in comune il titolo, attestato per la prima volta nel 1150, in un libello a favore dell’arciprete Giovanni de Costa: "plebis Sancti Syri de Nervi"[12].
LA "FABRICA" DI S.SIRO
Non è purtroppo possibile indicare con certezza una data di fondazione per la chiesa di S.Siro, certamente l’opera si protrasse a lungo, e il toponimo Fabrica indica probabilmente un cantiere in attività intorno all’edificio non ancora completato[13]: con questo appellativo la stessa chiesa verrà indicata, come vedremo, anche nel corso del secolo XVII, allorché i lavori erano in pieno svolgimento per la sua ricostruzione.
Nel 1582 il messo apostolico Francesco Bossio, nel corso della visita pastorale alla plebania di Nervi, ordinò alcune modifiche da apportare alla chiesa di S. Siro e ai suoi arredi.
Nel XVII secolo le dimensioni della chiesa medievale non risultavano più sufficienti a ospitare i fedeli, il cui numero era notevolmente aumentato: "il popolo di Nervi è cresciuto in maniera che non può più capire nella Chiesa Parrocchiale di S. Siro per esser stata fabbricata anticamente quando non vi era il quarto del popolo"[14]. Il 16 aprile 1638 il Consiglio della comunità, radunatosi nell’oratorio dei confratelli della Beata Vergine Maria[15] e presieduto dall’arciprete Bernardo Cambiaso, dal priore Paolo Antonio Fravega e dal sottopriore Gio Batta Montano, approvò una supplica da inviare al Senato per proporre l’ampliamento della chiesa. In quella stessa occasione veniva nominato in qualità di sindaco e procuratore della comunità di Nervi il notaio Gio Batta Montano, al quale era affidato l’incarico di amministrare il denaro destinato alla nuova fabrica .
Nel 1647 i lavori alla fabrica di S. Siro erano ormai inoltrati e la chiesa, riedificata in economia, mancava solo delle coperture. Se dunque il corpo dell’edificio venne realizzato in tempi relativamente brevi, la messa in opera delle coperture fu molto più tormentata, soprattutto per la problematica situazione delle finanze locali. La costruzione doveva apparire eccessivamente grande e dispendiosa per quel borgo e, nel corso di un sopralluogo, il capitano marchese Gio Batta Spinola la giudicò "più conveniente per una città, che per un luogo di Villa"[16]
Nel luglio del 1651, allorché la fabbrica risultava quasi ultimata, si verificò il crollo di una parte di essa, "con danno del lavoro e di alquante persone", come riferì Gio Francesco Spinola in una relazione datata 30 agosto 1651[17].
Nel 1668 furono finalmente ultimate le coperture della chiesa; in quell’anno vennero inoltre completate le cappelle del Crocifisso e del Rosario, a sinistra e a destra del presbiterio[18].
La nuova chiesa, condotta a termine nel 1686, fu consacrata il 25 luglio 1723 da Mons. Agostino Saluzzo, vescovo di Meriana e Accia in Corsica, come attesta una lapide un tempo collocata sotto la cantoria in fondo alla chiesa, e oggi murata nella sacrestia.
Per lungo tempo si credette che nulla fosse rimasto dell’originario manufatto medievale di S. Siro di Nervi, come peraltro lasciavano intuire le fonti scritte relative alla riedificazione del monumento; se non che, alcuni restauri eseguiti nel 1928 portarono alla luce un capitello sferocubico di pietra calcarea, elemento appartenente all’antica pieve, utilizzato come materiale di reimpiego e murato nello spigolo sud - est del campanile. Nell’inverno del 1959, un forte temporale causò il distacco di un brano di intonaco della facciata, portando allo scoperto un archetto e un lacerto di tessitura muraria in pietra calcarea; tali elementi, e altri ancora, sottoposti a una prima indagine, furono ritenuti pezzi privi di importanza, appartenuti a una muratura più antica e riutilizzati in maniera disorganica: poco eloquenti, pertanto, sul piano di una disamina architettonico - archeologica mirata alla riscoperta dell’antico edificio. Ulteriori e più accurati accertamenti permisero, tuttavia, di individuare un primitivo muro unitario in conci di pietre squadrate, inglobato nella facciata secentesca. Il ritrovamento di tali resti, "mutili e deturpati dalle aperture dell’attuale prospetto"[19] ha confermato che la chiesa moderna è costruita sull’antica, come già avevano intuito i Remondini: "il veder questa nuova [chiesa] volta col coro all’oriente come era antico costume ci fa credere che sia alzata sull’area della primitiva"[20], sebbene l’ubicazione dei due edifici non si presenti perfettamente in asse.
LA FACCIATA DELLA CHIESA MEDIEVALE
La facciata della chiesa medievale, che misura 9,70 m di larghezza, presenta il corpo centrale rialzato rispetto ai due spioventi laterali ed è scandita da lesene poco aggettanti[21] che definiscono nel paramento murario tre specchiature. Dalle lesene si diparte una teoria di archetti pensili, a tutto sesto e rampanti, posti su peducci sbozzati obliquamente e con il vertice arrotondato verso l’interno. In corrispondenza del raccordo fra lo spiovente e la lesena centrale di sinistra, la postura orizzontale, e non ascendente, dell’archetto superstite e della restante porzione di quello accanto, retti da una mensolina non rastremata, ha fatto supporre che tutta la navata di sinistra, "costruita verso il fianco della montagna avesse una diversa copertura, forse pianeggiante"[22]; ma tale ipotesi è contraddetta dalla linea visibilmente inclinata del residuo brano di muratura soprastante. In corrispondenza del raccordo fra gli spioventi laterali e il corpo centrale, si nota un accenno di cornice sguscia appena rilevata. Come già osservato, l’edificio moderno non fu costruito perfettamente in asse con quello antico ma, rispetto a questo, leggermente spostato a sud: e poiché, per questo motivo, le aperture delle due rispettive facciate non coincidono, si è conservata una parte dell’unico portale centrale dell’originaria pieve. Tale apertura è larga 168 cm, risulta un poco rientrante rispetto alla facciata, è voltata ad arco a tutto sesto fortemente lunato con sottostante architrave; quest’ultimo poggia su una mensolina a stampella, a sua volta posto sul residuo stipite, con rilievo fitomorfo (un fiore a quattro petali dalla linea assai semplice) e voluta a ricciolo all’estremità. Anche la lunetta che sormonta l’architrave presenta tracce di un rilievo, purtroppo non decifrabile perché ridotto a esiguo frammento. In asse con l’originario portale è una luce quadrangolare, molto strombata: secondo Raitano costituirebbe quanto rimane di una originaria bifora[23], in seguito accecata e sostituita da una più ampia apertura circolare, che sembra, in parte, inglobare la precedente. Entrambe le bucature sono oggi tamponate con cemento. Sotto la cuspide del timpano si trova un piccolo oculo, realizzato con quattro semplici conci in pietra sagomata a sezione circolare. La tessitura muraria, costituita da elementi piuttosto grandi (in media, 55 cm di larghezza per 25 di altezza) e regolari, appare di fattura colta; presenta, però, anche alcuni corsi costituiti da elementi di dimensioni minori.
* Il materiale presente in questo paragrafo è stato gentilmente concesso dalla dott. Daniela Ottria, autrice di una ricerca storica sulla plebana di Nervi, all'arch. Matteo Ferrari, laureatosi con una tesi riguardante l'adeguamento liturgico della chiesa parrocchiale di S.Siro. Le note presenti rinviano all'insieme del lavoro della dott. Ottria e potranno essere sciolte dal lettore solo ad eventuale avvenuta pubblicazione.
[1] PAVONI, 1996, p. 15
[2] Cfr. REMONDINI, 1879, pp. 4 - 8 e REMONDINI A. e M., Parrocchie dell'Archidiocesi di Genova. Notizie storico ecclesiastiche, Genova, 1886, pp. 94-96. Tale Syndicatus corrisponde alla procura che il clero dell’arcivescovo fece redigere presso il notaio Leonardo da Garibaldo il 7 giugno 1311 da prete Rollando della Pietra, cappellano della Metropolitana
[3] REMONDINI, op. cit., 1886, p. 95
[4] FERRETTO, 1908, p. 387; PAVONI, 1996, p. 15; cfr. anche ASG, Senarega 1287, Atti del Senato 1556, per cui v. qui doc. n 53 1
[5] ASCAG, Il Registro della Curia Arcivecovile, per cui v. qui doc. n 51. Nel testo del documento si trova : "in Curia Nervi ...in plebeio de Nervi ..."; ma v. qui anche docc. nn 21e 31: "...in plebeio Nervi …" e "...plebis de Nervi ..."
[6] La curia di Nervi, o curtis , è attestata dall’anno 1143, come pure il domnicatus , per cui v. qui docc. nn 51, 91, 81
[7] Il vescovo possedeva numerosi immobili e fondi rustici in città, nelle aree suburbane e nelle campagne; il patrimonio fondiario della Mensa arcivescovile, che risaliva forse all’età bizantina, si concentrò col vescovo Teodolfo nell’area della Val Bisagno, alla confluenza di importanti vie di comunicazione, in particolare nella pieve di Molassana. Qui si trovava la più antica curtis dell’arcivescovo, costituitasi forse sulle terre comuni (compascua) di una regione limitrofa, poi divenuta res nullius , passata quindi a re, imperatori, vescovi e monasteri. Cfr. DE NEGRI, 1974, pp. 196-97
[8] ASCAG, Il Registro della Curia Arcivescovile di Genova, documento del novembre 1074, per cui v. qui doc. n 11. Era chiamato pasteno un terreno da lavorare con il pastinum (sorta di bidente), cfr. ROVERETO, 1924, p.534-35
[9] PAVONI, 1996, p. 15. La curia di Nervi è più tarda rispetto alla curia di Molassana e con una giurisdizione limitata. Cfr. DE NEGRI, 1974, p. 197: secondo lo studioso, la relativa autonomia o liberalizzazione concessa ai famuli, per cui essi non solo talvolta versavano pensiones ammontanti a cifre irrisorie, ma potevano conservare a vita i terreni allivellati, trasmetterli in eredità e anche alienarli (alle condizioni già osservate nel testo), deriverebbe da una progressiva tendenza a liberare i coloni dalla sudditanza del dominus, riscontrabile soprattutto a Molassana e nelle corti più vicine alla città; al contrario, in corrispondenza di località più decentrate accadeva che i vescovi propendessero ad accrescere e a concentrare i propri patrimoni fondiari nella forma di feudi ecclesiastici
[10] Cfr. ASCAG, Il Registro della Curia Arcivescovile, doc. del 1074, per cui v. qui doc. n. 11
[11]Cfr. ASCAG, Il Registro della Curia Arcivescovile, doc. 1143, s.d , s.m. , per cui v. qui doc. n 81
[12] Cfr. ASCAG, Il Registro della Curia Arcivescovile, doc. del marzo 1150, s.d. , per cui v. qui doc. n 141
[13] Cfr. qui docc. nn 51, 71, 81, 91, 111
[14] ASG, Senarega 1993, Atti del Senato 1638, doc. del 23 giugno 1638, per cui v. qui doc. n 631. E’ possibile trarre qualche informazione circa il numero degli abitanti di Nervi attraverso la Descriptio Orae Ligusticae di Jacopo Bracelli, che nel 1448 segnala la presenza di 100 habitatores , indicando con questo vocabolo i capi famiglia o gli individui dediti a qualche attività, ovvero i nuclei familiari soggetti al pagamento dell’avaria ; a distanza di circa un secolo, Giustiniani parla invece di "trecento settanta una casa, delle quali ve ne sono quatro di Cittadini" (GIUSTINIANI, 1537, c. XVIII r.; ed. cons. 1854, I, p. 85); cfr. GALASSI - ROTA - SCRIVANO, 1979, pp. 60-61
[15] Da identificarsi con l’oratorio di N.S. Assunta in Caprafico - parrocchia dal 1905 - sito a ovest del borgo e sede della confraternita dei Bianchi (esistente già nel 1441) ; ma tale edificio non viene nominato nella relazione di mons. Bossio: si può desumere, pertanto, che nel 1582 non esistesse ancora, neppure come Casaccia.
[16] ASG, Senarega 2137, Atti del Senato 1647, doc. del 15 settembre 1647, per cui v. qui doc. n 771
[17] ASG, Senarega , doc. del 30 agosto 1651, per cui v. qui doc. n 881
[18] GAJONE, 1955, p.36
[19] RAITANO, 1959, p. 91; riguardo lo stesso argomento, cfr. inoltre BOGGERO, 1979, pp. 5-6; CABELLA, 1996, pp. 4-5
[20] REMONDINI, 1882, p. 100
[21] Ciascuna lesena misura 77 cm di larghezza
[22] RAITANO, 1959, p. 92
[23] RAITANO, 1959, p. 92
Visita guidata
Volta
Sulla volta dell’aula é raffigurata l’Ascensione del pittore bergamasco Giuseppe Paganelli (1750-1822).
Presbiterio e Abside
La volta raffigura la gloria di San Siro , ai lati le Virtù Cardinali ( giustizia e fortezza sx.; prudenza e temperanza dx.). Nel catino San Siro che scaccia il baslisco, le virtù teologali sono nel|'arco trionfale (fede al centro; speranza a dx.; carità a sax.). Gli affreschi sono di Giuseppe Ratti (1757-1795).
Nel presbiterio a sx. Transito di S.Siro del Ratti, a dx. L’arrivo in Liba del lino miracoloso di S.Siro, di Pietro Costa (1756 c.a~ 1798), nel coro in basso a dx. Presentazione di San Siro al Vescovo Felice; a sx. L’ordinazione presbiterale di San Siro di Pietro Costa, al centro del coro l’ordinazione episcopale del Santo di Angelo Giacinto Banchero (1744~1794).
A concludere lo spazio absidale è posto uno splendido coro ligneo. Gli stalli in noce furono intagliati da frate Luca Marcenaro della chiesa genovese della Madonnetta fra il 1731 e il 1734.
A partire dalla sinistra guardando l’altare maggiore
Cappella del Crocefisso
L'altare é posto alla sinistra nel transetto ed è opera di Pietro Besoggi detto il Veneziano (sec. XVIII°), il crocefisso ligneo del Bissone(sec. XVII°) e le due statue della Madonna Addolorata e della Maddalena (1753) di Francesco Maria Schiaffino. L’affresco con Ia Resurrezione di Cristo nella volta e i Putti con i simbo1i della Passione (1760) é di Giovanni Agostino Ratti. La prospettiva alle pareti é di Rocco Costa, gli stucchi sono di Bartolomeo Fontana.
Cappella di S.Siro
L’altare fu costruito nel1734 e in seguito arricchito con tre sculture (1771) di Pasquale Bocciardo: Sant’Andrea, a sinistra, San Siro, al centro e San Bartolomeo a destra.
Cappella dell’Immacolata
Nell'altare é posta l’Immacolata Concezione, statua in legno policromo (1894), ripresa e dipinta da Antonio Canepa nel 1908. Nei quattro piccoli dipinti laterali (inizio XX° sec.) sono raffigurati Sant’Anna e San Gioacchino, genitori della Vergine, San Francesco e Sant’Agnese.
Cappella del Sacro Cuore
L’altare ospita una pala datata 1964: il Sacro Cuore di Adelina Zandrino (1893-1995).
Orchestra
Sovrastante l’ingresso nell|’ampio vano interno della chiesa é la cantoria costruita nel 1810 da Giacomo Gaggini su disegno di Carlo Barabino.
Fonte battesimale
Posto nella controfacciata in una nicchia a destra del portale principale, é opera dell’ovadese Emanuele Giacobbe (secolo XIX). Il fonte é composto da un gruppo scultoreo con le statue di Cristo e S.Giovanni Battista
Cappella di N. S. della Speranza
Vi é collocato un dipinto del secolo XVIII° tradizionalmente e localmente attribuito a un non meglio identificato Gerolamo Marcone, pittore romano. L'opera pittorica rappresenta la Sacra famiglia tra Sant'Antonio da Padova e Santa Caterina da Genova. L’altare è stato dedicato alla Madonna della Speranza per il significato iconografico contenuto nel dipinto: il Bambino regge e mostra la Croce, segno di salvezza, e l’angelo posto ai piedi della Madonna regge un cartiglio con la scritta “Mater Sanctae Spei".
Cappella della Madonna della Salute
L'altare, già di S.Stefano, é dedicato alla Madonna della Salute, culto introdotto a Nervi nel 1819. L’immagine della Vergine, probabilmente dipinta dal Paganelli, é copia di un dipinto secentesco di G.B. Salvi detto il Sassoferrato (1605-1685) conservato nella chiesa della Visitazione a Genova. I due putti angelici reggicorona in legno policromato (forse frutto di un recupero), già localmente attribuiti ad Anton Maria Maragliano, paiono posteriori (secolo XIX°).
Cappella dell’Angelo Custode
L'altare é intitolato all’Angelo Custode, rappresentato in un gruppo scultoreo datato 1777 di Bernando Pasquale Mantero.
Cappella del Rosario
A destra del presbiterio, nel transetto, sull'altare dell’omonima cappella é collocata una scultura lignea policromata della Madonna del Rosario. L'opera, databile at sec. XIX°, faceva parte di un gruppo processionale insieme alle due sculture con S. Domenico e S. Caterina, poste presso la balaustra.
I quindici Misteri del Rosario dipinti su tavola sono attribuiti con ogni probabilità a C.G. Ratti. Alle pareti sono due tele, databili alla prima metà: del secolo XVIII°, con S.Domenico e S.Rosa. Affrescata nella volta é una Gloria angelica (seconda metà del XVIII secolo).
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